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Il Fintocolto e le liste

Il fintocolto odia le liste di preferenze. Le dieci canzoni preferite, i dodici quadri, i cinque libri. Diventa sempre una gara all’ultimo specchio fra i mille spicchi di sé che lo compongono, vasto e ricco di impazienze com’è. Una gara d’equilibrio, paraculismo d’essay e diplomazia da commerciante di fontane di Trevi.
Il problema è non apparire fintocolto, ma neanche verabestia: in linea di massima occorre coprire con astuzia e ingordigia la maggior parte dei mondi possibili. In musica si deve correre dal jazz, che fa sempre la sua figura, al rock – quello classico per non apparire pischelli e quello più recente per non apparire triceratopi – passando per almeno un pezzo dei Pink Floyd (ma non uno di quelli famosi: la banalità è uno spazietto vuoto tra le parole “wish” e “you were here”). Poi qualcosa di musica classica da scovare tra inserti speciali, regali poco graditi e polvere in forma di disco relegati negli scaffali meno ricordati della casa d’origine.
In ambito di libri ci vogliono almeno un paio di poeti, sebbene il nostro fintocolto non legga poesia pur scrivendola (un po’ come tutto il mondo, d’altronde), oltre poi a una delicatissima dosatura di alternativo e tradizionale, scrittura e letteratura, che manco la bilancia di Anubi. In ogni caso, l’unica certezza del fintocolto è che dopo aver sudato come un Calippo  per raggiungere una lista minimamente soddisfacente, non l’avrà comunque raggiunta.
“Non si può chiudere il mondo in una lista”. Taglierà con questa affermazione la sfida con se stesso.
“Potevi almeno provarci, idiota”. Con questa affermazione, la ricucirà immediatamente.